Come potevamo cantare


                          Alle fronde dei salici

 


E come potevamo noi cantare

con il piede straniero sopra il cuore,

fra i morti abbandonati nelle piazze

sull’erba dura di ghiaccio, al lamento

d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero

della madre che andava incontro al figlio

crocifisso sul palo del telegrafo?

Alle fronde dei salici, per voto,

anche le nostre cetre erano appese,

oscillavano lievi al triste vento.


SALVATORE QUASIMODO

Alle fronde dei salici

[da Giorno dopo giorno (1947)]



Salvatore Quasimodo, che visse a cavallo tra la seconda guerra mondiale e il secondo dopoguerra, in questo breve capolavoro di pietà e tenerezza assieme, che fa parte della raccolta “Giorno dopo giorno” pubblicata nel 1946, ci spiega con molto trasporto ma anche in modo molto crudo come sarebbe stato possibile scrivere poesie liberamente in un Paese in cui la libertà non v’era più. Come sarebbe stato possibile esprimere le proprie idee e il proprio dissenso in un contesto minaccioso in cui era stata negata la libertà di pensiero e di parola, di affermazione della propria identità, della propria posizione politica e intellettuale. La parola d’ordine all’epoca era censura. Non dobbiamo pertanto stupirci se le poesie dei nostri Ungaretti e Montale, ad esempio, siano cariche di mistero e penombra. I nostri scrittori nel mistero cercavano persino un senso, perché non riuscivano a trovarlo in quella realtà disumana. La poesia diventa così l’unica via per esprimere l’inesprimibile. L’unico rifugio alla violenza e alla sopraffazione, l’unica voce, seppur strozzata, di amore e attaccamento alla vita.

Scelto da Eleonora Bertini.



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